Differenze immunologiche fra depressione e disturbo bipolare

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 26 maggio 2018.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La depressione che si manifesta come sindrome isolata e circoscritta nel tempo o come esito di un protratto disturbo d’ansia è stata tradizionalmente distinta e tenuta nosograficamente separata da quello stato grave di inibizione, impoverimento della vita psichica e mancanza di motivazione vitale, che può accompagnarsi a disturbi dell’ideazione e sintomi allucinatori, che un tempo si definiva “depressione endogena”. Con questa denominazione si voleva sottolineare la prevalente importanza nella patogenesi di fattori attinenti alla neurobiologia e alla neurofisiologia cerebrale (genetici, epigenetici, neuroevolutivi, ecc.) rispetto al ruolo svolto da fattori ambientali (stress, condizionamenti esistenziali, conflittualità inconscia, sofferenza affettivo-emotiva cronica, ecc.). In un’epoca ancora precedente, si distinguevano almeno tre categorie: depressione psicotica, depressione nevrotica ed episodi depressivi di tipo reattivo; nella prima categoria si comprendeva la psicosi depressiva, quale prototipo delle psicosi affettive, e la depressione della psicosi maniaco-depressiva o psicosi bipolare. L’opinione prevalente fra gli psichiatri era che alla gravità clinica delle sindromi della prima categoria facesse riscontro una predisposizione di fatto determinante, senza della quale anche lo stress cronico più grave e più protratto nel tempo non avrebbe mai potuto portare a quella sintomatologia.

Quando, con l’evolversi del pensiero psichiatrico e della conoscenza neuropatologica e psicopatologica, nell’epoca che va dall’edizione del DSM-III all’attuale DSM-5, passando per il DSM-IV, si è abbandonata quella terminologia, nella convinzione diffusa che una polimorfa, eterogenea e varia componente genetica possa combinarsi in modi diversi con fattori ambientali, dando luogo ad una gamma continua, che va da stati di vera e propria disorganizzazione della vita psichica fino a stati caratterizzati da vissuti depressivi e sofferenza soggettiva ma con funzionalità sociale e relazione del tutto conservata. Nel pensiero psichiatrico si sono a lungo fronteggiate due convinzioni contrapposte: la prima considerava gli episodi depressivi del disturbo bipolare del tutto indistinguibili dal disturbo depressivo o depressione propriamente detta; la seconda, riteneva la natura delle due manifestazioni cliniche depressive del tutto diversa. In particolare, molti psichiatri di formazione neurobiologica, come quelli afferenti ai gruppi di ricerca della psichiatria molecolare, supponevano un’eziopatogenesi diversa fra disturbo bipolare e disturbo depressivo, con la semplice sovrapposizione dei processi fisiopatologici nelle fasi di espressione sintomatologica comune. Anche se poi la tesi è stata accantonata, a lungo si è ritenuto che la depressione del disturbo bipolare fosse espressione di una sorta di “stato di esaurimento” dovuto all’eccesso funzionale protratto nel tempo, da parte dello stato di eccitazione[1].

In passato, la depressione maggiore si riteneva fosse principalmente prodotta da un cervello predisposto, a fronte di esperienze di perdita e di stress non superiori a quelle che la vita riserva alla massima parte delle persone, e per questo la si teneva distinta da quella da stress cronico, che si voleva potesse insorgere in qualsiasi persona quando le condizioni fisiopatologiche dello stress innescate dai sistemi dell’amigdala, con l’iperattivazione dell’asse CRH-ACTH-cortisolo e l’asse simpato-adreno-midollare, per effetto di attivazione dei sistemi dell’amigdala e il riavvio in assenza di stimolo esterno da parte del sistema del locus coeruleus, superino una certa soglia. Nella ricerca recente, invece, non meraviglia che si studino meccanismi patologici della depressione maggiore su modelli murini di depressione da stress. Infatti, oggi, sulla base delle nuove conoscenze genetiche e neuropatologiche, la prudenza nel definire categorie e separazioni è d’obbligo, anche perché, come era stato previsto già da decenni dal nostro presidente, molti disturbi psichici implicano alterazioni multisistemiche, la cui conoscenza approfondita ci potrà fornire un quadro del tutto nuovo della psicopatologia.

Ormai è nozione comune che nel disturbo depressivo maggiore (MDD, da major depressive disorder) e nel disturbo bipolare (BD, da bipolar disorder) l’alterazione del sistema immunitario abbia un ruolo critico nella patogenesi, ma non è chiaro se la fase depressiva della sindrome bipolare e la depressione unipolare abbiano lo stesso pattern infiammatorio. Questo problema è stato affrontato da Mao R. e colleghi, con risultati di sicuro interesse.

(Mao R., et al. different levels of pro- and anti-inflammatory cytokines in patients with unipolar and bipolar depression. Journal of Affective Disorders 237: 65-72, 2018).

La provenienza degli autori è prevalentemente la seguente: Division of Mood Disorders, Shanghai Jiao Tong University School of Medicine, Shanghai (Cina).

Mao e colleghi hanno indagato somiglianze e differenze nelle citochine pro-infiammatorie ed anti-infiammatorie tra la depressione unipolare e la depressione bipolare, e poi la traiettoria di queste citochine dopo il trattamento di fase acuta.

Sono stati studiati 74 pazienti affetti da disturbo depressivo maggiore (MDD), 61 pazienti diagnosticati di disturbo depressivo bipolare (BDD) e altri 62 volontari sani fungenti da gruppo di controllo. Sono state studiate in tutti i partecipanti le citochine pro-infiammatorie IL-6 e TNF-α, e le citochine anti-infiammatorie IL-4 e IL-13, con metodi standard (multiplexed sandwich ELISA-based quantitative arrays).

Prima del trattamento di fase acuta, i livelli iniziali di TNF-α e IL-13 erano significativamente più bassi nei pazienti bipolari rispetto a quelli affetti da depressione maggiore. I risultati dimostrano l’assenza di rapporto tra il livello della singola citochina e i segni clinici specifici della depressione unipolare o bipolare. Dopo 12 settimane, i livelli di TNF-α, IL-4 e IL-13 diventavano notevolmente più bassi nei pazienti affetti da depressione maggiore (MDD), rispetto sia agli affetti da BDD, sia al gruppo di controllo. Questo dato era indipendente dalla risposta del paziente al trattamento, invece i livelli di TNF-α e IL-4 aumentavano soltanto negli affetti da BDD che rispondevano al trattamento.

Dall’insieme dei dati raccolti, per il cui dettaglio si rinvia al testo originale dello studio recensito, si può desumere che, anche all’interno degli stessi stati depressivi, i pazienti di MDD e BDD presentano un profilo infiammatorio diverso, particolarmente per ciò che concerne la citochina pro-infiammatoria TNF-α e la citochina anti-infiammatoria IL-13. A margine dello studio, gli autori osservano che le fluttuazioni delle citochine indotte dai farmaci possono fornire un interessante indicazione circa la prognosi della risposta al trattamento.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-26 maggio 2018

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si ricorda che, pur con notevoli variazioni tipologiche ed individuali, e con qualche rara eccezione, nei disturbi bipolari prevale sempre la fase di eccitazione.